Giornata della Libertà di stampa
<E’ la stampa, bellezza!> Uno dei più noti simboli della libertà di stampa è la scena che conclude il film <L’ultima minaccia>, con Humphrey Bogart che allunga la cornetta verso le rotative perché il boss mafioso ne senta la musica: il giornale che lo inchioda è andato in stampa nonostante le minacce. Libertà di stampa. Che cos’è? E’ un diritto e uno dei valori fondamentali della democrazia. E’ un diritto dei cittadini. E’ un diritto dei giornalisti, che sono i garanti di una società libera e informata. La missione dei giornalisti è infatti quella di cercare la verità e aiutare le persone a comprendere il mondo, a sapere ciò che vi accade – vicino e lontano – per capire, per ragionare, per giudicare , per fare le proprie scelte e all’occasione esprimersi con un voto. Si parla di libertà di stampa quando avvengono gravi violazioni, quando si uccidono giornaliste e giornalisti. Ogni anno, nella Giornata della libertà di stampa, si fa il conto dei caduti su quel fronte. Ne abbiamo avuti tanti anche noi. Ne abbiamo avuti durante il fascismo: l’onorevole Giacomo Matteotti fu assassinato anche in quanto giornalista; Piero Gobetti fu ammazzato di botte dagli squadristi per gli articoli contro il regime. Ne abbiamo avuti negli anni di piombo: gli otto brigatisti rossi arrestati nei giorni scorsi in Francia ci ricordano l’assassinio di Carlo Casalegno, quello di Walter Tobagi e i tanti colleghi feriti alle gambe. Ne abbiamo avuti assassinati dalla mafia, dalla camorra e dalla ‘ndrangheta. Il poter parlare al passato dei colleghi morti o feriti ci fa vedere la libertà di stampa come una garanzia acquisita, come un problema di altri. Ma noi siamo davvero i garanti di una società libera e informata? E lo siamo adeguatamente oggi? Lo siamo in misura adeguata a un bisogno di verità mai stato così forte perché mai si è avuta tanta comunicazione: incessante, pervasiva, spesso avvelenata di finte notizie, ideologie perverse, razzismo, violenza, ignoranza di verità elementari, negazione ostinata di comprovate verità storiche e verità scientifiche? Purtroppo la realtà è che, mediamente, adeguati non siamo. La crisi economica del 2009 ha fatto precipitare un declino già in atto , comportando provvedimenti non ancora cessati: pensionamenti, prepensionamenti, tagli di personale nelle redazioni, sfoltimento di collaboratori e tagli dei compensi. Ha comportato una dolorosa crescita del precariato, pagato con cifre indecenti. Permane il problema delle querele temerarie che minacciano i cronisti, specie chi non è dipendente di un giornale. L’inchiesta è ormai una rarità che si concedono solo le maggiori testate. La verifica delle notizie, delle fonti, dei nomi, delle cifre – il primo diritto e il primo dovere del giornalista – è per molti un impossibile esercizio quotidiano. La debolezza economica delle testate rende sempre più forte la sudditanza dalla pubblicità. Questo comporta lo slittamento del giornalismo a un ruolo sempre più promozionale: il fenomeno che un tempo era legato ai grandi marchi della moda e della bellezza ora pervade ogni altro settore: la musica, il cinema, il teatro. Ed è esasperato con il cibo. La legge che ha istituito nel 1963 l’Ordine dei giornalisti afferma che i suoi iscritti non possono fare pubblicità. Ma chi scrive di ristoranti, di pizzerie, di trattorie, di gelaterie, di vini, di birre, ricorre agli stessi termini, agli stessi schemi dei copywriter della pubblicità. Guardare la realtà con lucido realismo significa individuare le misure più urgenti per rimediare alle criticità. Il nostro è un mestiere magnifico e riportarlo ai livelli migliori sarà appassionante. Certo, devono radicalmente rinnovarsi l’Ordine, il sindacato e gli editori. Certo Ordine-sindacato-editori devono stipulare tra loro un patto degno del pericolo che la libertà dell’informazione sta correndo nella confusa svolta epocale alla quale l’intreccio della potenza tecnologica e dell’impotenza economica ci ha portati. Certo la politica deve riconsiderare il suo rapporto con il giornalismo, visto con benevola attenzione solo quando si fa docile e puntuale megafono dei suoi slogan. Certo molto dipenderà da noi. Il 21 maggio di sessant’anni fa moriva Alfredo Frassati, che con Luigi Albertini e Alberto Bergamini è stato nel Novecento un fondatore del miglior giornalismo italiano. Si era impegnato a garantire con <La Stampa> <un giornalismo onestissimo, indipendente da tutto e da tutti>. In quel superlativo assoluto non c’è solo la storia di un’idea del giornalismo, c’è – deve esserci – il suo futuro. Onestà significa servizio pubblico, senso morale, disinteresse personale, verifica ostinata di quanto affermi, significa qualità, affidabilità. Qualità significa pure bandire sciatterie, approssimazioni, favori, ossequi o livori, toni melodrammatici nei testi e nei titoli. Il giornalismo di qualità sarà il salvagente per gli internauti che si accorgono di rischiare naufragi nelle ondate di propaganda interessata e pilotata. E sarà il più efficace vaccino per una società meno incolta, più sana e più giusta. Non soltanto perché si stampano sempre meno giornali e l’informazione passa per altri veicoli.