“Addio Nino Battaglia, amico lieve”
Si sono svolte questa mattina,lunedì 31 ottobre le esequie del collega Nino Battaglia, per molti anni volto del telegiornale del Piemonte della Rai. Pubblichiamo il ricordo scritto da Orlando Perera, suo amico ed ex collega di lavoro. “Se n’è andato all’oncologia delle Molinette, nella notte tra giovedì 27 e venerdì 28 ottobre, fedele al suo credo fondamentale, riserbo invalicabile, pudore assoluto. Abbiamo saputo della malattia, persino noi amici stretti, a cose fatte, quando era troppo tardi. Ho potuto ancora parlargli per telefono il martedì, mi ha risposto affannoso, ma sempre lui, anche nella nebbia fosca delle metastasi al cervello. Vengo a trovarti – No, non si può entrare – Sappi che ti sono vicino comunque – Non troppo vicino, puzzo, sono giorni che non mi lavo! Era l’altro credo di Nino, che ricordano bene bene tutti coloro che l’hanno conosciuto: l’ironia. Finissima, surreale, pirandelliana si può ben dire, che non ha ceduto mai, adesso sappiamo neppure in faccia la morte. Nino era siciliano di Sciara, nel Palermitano, dov’era nato 71 anni fa. Ma non è come dire piemontese di Pinerolo. In lui la sicilianità non era per niente casuale, era qualcosa di profondo, di nativo, di gelosamente nobile. Come nel migliore sangue dell’isola, quello, si parva licet, di Gesualdo Bufalino o Leonardo Sciascia, o anche di Falcone e Borsellino. Di qui il riserbo invalicabile, soprattutto sul suo privato, la discrezione a prescindere su tutto quello che accadeva attorno a lui. Ricordo una volta all’aeroporto di Caselle, trasferta sindacale a Roma con Nino, c’era anche Daniele Cerrato che può testimoniare. All’imbarco una hostess che non trovava il suo nome nella lista dei passeggeri gli chiese se avesse prenotato e quando. Nino riuscì ad essere evasivo anche lì, con una gestualità esilarante, forse sì, forse no, chi può dirlo, e appunto quella singolare ironia. Tutto condito da un garbo, una lievità d’altri tempi. A questi caratteri, Nino aveva sommato nel tempo il rigore professionale e la vastità di una cultura che nonostante la sua dissimulazione venivano a galla inconfondibili. Ad esempio ho saputo per caso che era un grande appassionato e conoscitore di Caravaggio. Forse perché l’arte del chiaroscuro gli era così intimamente congeniale… Si era trasferito al nord giovanissimo con la famiglia nel 1968, a Settimo Torinese, dove infatti verranno tumulate le sue ceneri. Quando lo conobbi, attorno ai primi anni Ottanta, lui lavorava ancora all’Agenzia Italia. Ma aveva già collaborato con la Gazzetta del Popolo, da Settimo e non solo. Nel 1984 fu assunto in RAI, dove io lavoravo già dal 1978. Nutriva grandi passioni. La politica, era un convinto militante del PSI craxiano, ma in TV le sue cronache politiche erano inattaccabili per completezza e imparzialità. E poi il cinema, altro grande leit-motiv esistenziale di Nino. Non perdeva nessun grande Festival, la Mostra di Venezia, la Berlinale, Cannes, mandava servizi ai TG RAI, ma anche all’Ora di Palermo e non so a quali altre testate del settore. Scoprimmo in un’intervista in diretta di Marzullo a Dario Argento, che il re dell’horror aveva utilizzato Nino Battaglia come aiuto se ricordo bene proprio in Profondo Rosso. Nino era pacato, preciso, attento, tutte doti di un eccellente professionista, ma ancora una volta, senza esibirsi, con una sprezzatura inconfondibile. Non ho mai conosciuto un altro collega che lavorasse con tanto distacco e insieme con tanto rigore. Se n’è andato come è vissuto, con discrezione, occupando il minore spazio possibile, come a voler passare inosservato persino (forse soprattutto) nel transito supremo. Aveva capito che il cancro lo stava uccidendo, sapeva, non coltivava speranze infondate. Eppure ancora ai primi di settembre era venuto a cena da me con altri amici, si era sforzato di essere quello di sempre, tanto che nessuno di noi si è minimamente accorto di quanto stesse male. Del resto l’evoluzione delle cellule impazzite è stata veloce come una rapina. Una settimana fa è arrivato l’epilogo e non c’era più niente da fare o da dire. Solo quell’ultimo breve e crudelissimo dialogo che ho riportato all’inizio. Lascia la sorella, Nina di nome come lui. Il piccolo Mattia cinque anni, lo splendido bambino che ha illuminato la parte finale della sua vita con la luce di una paternità tanto inattesa, quanto gioiosa. Elisabetta, la madre di Mattia. Ciao Nino, se ancora ci fosse l’uso di mettere accanto ai defunti le cose della loro vita, accanto a te ne metterei una materiale, un cannolo alla siciliana, di quelli che mi portavi quando venivi a cena, e di cui sapevi che vado pazzo. E una immateriale, l’impareggiabile gioco di calembour, motteggi, giochi verbali, sorta di lessico non famigliare, ma amicale, che solo noi capivamo, con la chiave dell’affetto e della stima. Che la terra ti sia lieve”.