Addio ad Arrigo Levi


Arrigo Levi è morto il 24 agosto. Aveva vissuto a Torino anni fondamentali del giornalismo piemontese per la qualità delle cronache e delle inchieste,  per le sue trasformazioni tecnologiche ed editoriali, per le aperture e le collaborazioni internazionali. Videro, tra l’altro, il mensile <Europa> uscire contemporaneamente a Torino, Parigi, Londra e Amburgo grazie a <La Stampa>, <Le Monde>, <The Times> e <Die Welt>, che lo traducevano e diffondevano nei rispettivi Paesi. Furono anche anni difficili e pericolosi per i giornalisti, bersagliati con minacce e agguati dal terrorismo brigatista, che ne ferì alcuni e assassinò il vicedirettore della <Stampa> Carlo Casalegno. Per gentile concessione della <Stampa> pubblichiamo il ricordo del nostro presidente, che di Arrigo Levi  fu uno stretto collaboratore. (Foto Archivio Storico della <Stampa>) Arrigo Levi è stato il più drammatico direttore della <Stampa>. Più di Alfredo Frassati, che il fascismo punì obbligandolo a lasciare la direzione e la proprietà del giornale che aveva fondato. Più di Filippo Burzio che, assunta la direzione alla caduta di Mussolini, fu condannato a morte dalla Repubblica di Salò e costretto alla clandestinità per salvare la pelle. Arrigo Levi aveva cominciato presto a vedersela con la vita e con la politica.  Ragazzo ebreo, spinto dalla leggi razziali a rifugiarsi con la famiglia in Argentina,  si salva da un regime ma ne assaggia un altro, quello di Peron, che lo mette in prigione solo per aver partecipato a una dimostrazione di studenti democratici. Democrazia è il primo pensiero di Arrigo Levi quando, nel 1973, a quarantasette anni,  succede all’amico e coetaneo Alberto Ronchey, che l’ha assunto alla <Stampa> trasformando il popolare giornalista televisivo, collaboratore di <Newsweek> e del <Times>, nell’inviato di punta , autore della più lunga inchiesta tra i maggiori economisti del mondo. Per la prima volta in Italia,  giovedì 3 maggio il direttore designato sottopone la propria  nomina alla fiducia del colleghi in assemblea nelle redazioni di Torino, Roma e Milano collegate per telefono (un solo voto contrario, Vittorio Gorresio, grande cronista politico, indispettito <per non essere stato informato> o forse per non essere stato scelto). Nel breve saluto <Ai lettori> s’impegna a mantenere al giornale <la sua chiara e forte fisionomia di organo indipendente, democratico e antifascista, che ha partecipato a tutte le battaglie per lo sviluppo del Paese>. Ne dovrà affrontare altre, come quelle in difesa delle leggi sul divorzio e sull’aborto. Riceve una solidarietà internazionale oltre a quella immediata di Gianni Agnelli quando Gheddafi , prossimo azionista della Fiat, chiede all’Avvocato la sua testa e quella di Carlo Fruttero e Franco Lucentini per <Pare che…>, un elzeviro ironico sul colonnello dittatore. Ma la ferma difesa dello Stato democratico sfidato dal terrorismo delle Brigate rosse costa alla <Stampa> mesi di minacce, tre attentati e, il 16 novembre 1977,  il primo assassinio di un giornalista: Carlo Casalegno, il vicedirettore culturale e politico. Per il direttore è un lutto personale, che segnerà per sempre la sua vita: non accetterà mai più di dirigere un giornale. Eppure Arrigo Levi merita di essere ricordato per molto altro. Modenese cordiale, poliglotta, rapido, pragmatico, stenografo, dattilografo, è capace di scrivere un editoriale di due colonne in meno di un’ora. Scrive direttamente in inglese la rubrica per <Newsweek>. Mentre scrive lascia la porta aperta, risponde al telefono e a chi si affaccia, continuando a battere sulla tastiera.  Con il vicedirettore Giovanni Giovannini potenzia la presenza della <Stampa> in Piemonte con redazioni in ogni città.  Inaugura la prima teletrasmissione di un giornale del Nord a Roma, dove <La Stampa> esce da rotative che girano simultaneamente a quelle di Torino. Avvia la rivoluzione tecnologica che traghetterà <La Stampa> dal piombo fuso della tipografia al computer. Offre la spalla domenicale della terza pagina alla rubrica <Controcorrente di Indro Montanelli>, appena licenziato dal <Corriere della Sera> diretto da Piero Ottone. Arruola tra i collaboratori Leonardo Sciascia, Giorgio Bassani, Carlo Cassola, Antonio Ghirelli e due firme che nella storia della <Stampa> occuperanno un posto speciale:  Primo Levi e Norberto Bobbio.  Istituisce una pagina dell’arte. Nel 1975 vara <Tuttolibri> il primo settimanale italiano totalmente dedicato all’editoria, per il quale Furio Colombo incontra Pier Paolo Pasolini per l’ultima intervista prima dell’assassinio: <Siamo tutti in pericolo>. Il 7 settembre 1978 Arrigo Levi firma <La Stampa> per l’ultima volta.  Dal <giornalismo come missione> può ritornare al <giornalismo come mediazione, anzi come arte della mediazione>.  Lo fa da autore televisivo, da scrittore di saggi sull’Europa, sull’universo arabo-islamico, sugli operatori di pace, su temi filosofici, religiosi, spirituali. Lo fa per quattordici anni al Quirinale, riservato consigliere di due presidenti della Repubblica: Carlo Azeglio Ciampi (l’ultima inchiesta la condusse per preparare il suo viaggio in tutta l’Italia) e Giorgio Napolitano. Gli italiani meno giovani ricorderanno Arrigo Levi <mezzobusto> del Telegiornale Rai, efficace conduttore di collegamenti internazionali per la Guerra dei sei giorni e per l’invasione sovietica di Praga. O sorrideranno ricordando le imitazioni che ne faceva Alighiero Noschese aumentando la sua popolarità. Chi ebbe la fortuna di essergli collega ricorderà la sua umanità, il suo coraggio, la sua idea di informazione interpretata come pubblico servizio, da svolgere con onestà e senso morale, per favorire la crescita di una società italiana illuminata e matura.    

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