E’ morto Aldo Popaiz, cronista poi inviato della Stampa, per alcuni anni messaggero di Specchio dei tempi. Aveva 88 anni. Nella fotografia, scattata la notte del 13 maggio 1974 al giornale, Aldo è il secondo da sinistra e festeggia con alcuni redattori, cronisti e con il direttore Arrigo Levi, la vittoria dei no al referendum voluto dalla Dc di Amintore Fanfani, che voleva abrogare la legge sul divorzio del 1970. Da sinistra, in senso orario, Livio Burato, Sergio Solavaggione, Bruno Perucca, Nanni Capponi, Giorgio Calcagno, Mario Varca, Renato Rizzo, Antonio De Vito, Vittoria Sincero, Carlo Novara. Marzo 1964, il mio primo giorno alla Stampa. Forse non è esatto: diciamo che ero stato preso in prova ma in pratica non esistevo anzi se il direttore, il mitico Giulio De Benedetti, fosse entrato in cronaca io sarei dovuto scomparire. Altri tempi, altro giornalismo. Il capo cronista Ferruccio Borio mi presentò ai futuri colleghi e mi affidò ad Aldo Popaiz, il più bravo, il più scrupoloso, il più affidabile dei cronisti di quella cronaca che per decenni fu la migliore d’Italia. Aldo si rivelò subito un amico ed un maestro eccezionale: qualunque fosse il caso che si doveva seguire – dall’incidente stradale al suicidio, dal furto in un negozio ad un delitto – ci metteva lo stesso entusiasmo e la stessa scrupolosità e riusciva sempre a cogliere quel particolare che l’indomani, confrontando il pezzo di cronaca con quello degli altri giornali cittadini, lo distingueva dal semplice fatto di cronaca ma rivelava la personalità dei protagonisti, vittime o responsabili. La nostra diventò una vera amicizia e alla fine della giornata, quando la prima edizione del giornale come si diceva in gergo era chiusa, sovente andavamo a mangiare in un bar osteria di via Po che teneva aperto apposta per i cronisti della notte, quelli de La stampa, della Gazzetta del Popolo e dell’Unità. In quell’osteria conoscemmo Didier, un clochard che sopravviveva facendo mille lavori: un personaggio strano che diceva di essere francese (cosa non vera) ma parlava discretamente quella lingua e abitava in una soffitta in via della Rocca con una coperta, un catino, tanti libri. Con lui facemmo amicizia e d’accordo col proprietario del bar decidemmo di organizzare una cena alla settimana, sempre dopo l’una di notte, che preparava Didier rivelatosi un esperto cuoco, specialista nel preparare la “tripes à la mode de Caen ». Uno dei ricordi più belli della nostra lunga amicizia fu una vacanza in Danimarca, decisione presa dopo aver visto un film dove quel paese appariva come un fantastico « terreno di caccia » per due giovani in cerca di avventure. Partimmo con la mia Fiat 500 rossa e fin dall’inizio il viaggio si rivelò un’avventura: arrivammo di notte al confine con la Svizzera, la sbarra era alzata io che ero alla guida l’attraversai in velocità senza capire dov’eravamo e immediatamente si accesero fari ovunque e sirene incominciarono a suonare. Chiarito l’equivoco a dei gendarmi molto perplessi potemmo ripartire. Alternandoci alla guida in due giorni arrivammo a Copenaghen, la meta ambita. Trovammo alloggio presso un’affittacamere e partimmo per conquistare il mondo. Risultato : per tre giorni abbiamo offerto parecchi aperitivi e gelati a bellissime giovani donne bionde ricevendo molti ringraziamenti e sorrisi. Non avendo molti quattrini mangiavamo ai chioschi dove servivano appetitosi würstel purtroppo sempre affogati in marmellate dolci per cui per nutrirci con qualcosa di simile ai nostri gusti mangiavamo pane e formaggio. Un giorno mentre tornavamo per imbarcarci per la Germania, vedemmo una fattoria con tante mucche al pascolo. Aldo ebbe un guizzo: fermati vedrai che lì troveremo una bistecca. Detto fatto. Ci accolse una signora sorridente che purtroppo non parlava nessuna lingua conosciuta da noi: Aldo con un’ottima mimica indicando le mucche e simulando un muggito cercò di far capire che volevamo mangiare: la donna annui e sempre sorridente corse dentro casa per riapparire dopo pochi minuto con due grandi bicchieri colmi di latte… Finalmente arrivammo al porto giusto in tempo per salire sul traghetto e sbarcammo in Germania: In quella dell’Est, la zona occupata dai russi. Dopo lunghi esami dei nostri passaporti ci fu data una cartina con segnata la strada che dovevamo percorrere. Ovviamente non ne tenemmo conto perché noi volevamo andare a Berlino che non era su quella strada e procedemmo per altre vie. Ma percorsi pochi chilometri fummo fermati da soldati sovietici e costretti a seguirli in una caserma. Interrogati in russo da un ufficiale , cercammo a gesti di spiegare che eravamo operai in vacanza: Aldo mimando il gesto di uno che avvita una lampadina, io facendo finta di posizionare delle finestre. Alla fine, ci lasciarono andare dandoci una nuova mappa col percorso da seguire ben evidenziato in rosso. Tanti sono i ricordi dell’amico Aldo giornalista e cronista impareggiabile, ma vorrei ancora una volta sottolineare la sua onestà, la sua precisione quasi maniacale nel lavoro. Di alcuni delitti che accaddero a Torino Aldo arrivò alla scoperta dei colpevoli ancor prima della polizia e le sue conclusioni furono confermate dalle indagini. Negli ultimi anni il capocronista gli affidò la conduzione di « Specchio dei tempi » la rubrica che fece conoscere La Stampa in tutto il mondo ed ancor oggi è il fiore all’occhiello del giornale: Aldo si mise al lavoro col solito impegno, scoprì e risolse casi incredibili di povertà, miseria morale, sofferenza. So che quel lavoro gli provocò molta angoscia, essere a contatto giorno dopo giorno con la povertà, la miseria, il decadimento morale di persone senza futuro lo segnò profondamente ma non si tirò mai indietro continuando con la solerzia di sempre ma soprattutto con la sua grande nobiltà d’animo a portare un aiuto, un soffio di amicizia, una partecipazione a chi non aveva più nulla, neppure la speranza. Aldo sei stato un grande maestro per tutti noi. Francesco Fornari