Addio a Numa, il cronista della nera – Una vita a raccontare l’Italia
E’ mancato il nostro collega Massimo Numa Pubblichiamo l’articolo con il quale Lodovico Poletto lo ha ricordato su La Stampa Addio a Numa, il cronista della nera Una vita a raccontare l’Italia Lodovico Poletto Era arrivato al volante di una Alfa 156 dall’improbabile color azzurro metallizzato: era il due gennaio del 1999. Capelli neri, ricci, giubbotto di pelle nera, quell’aria perennemente distratta e il viso abbronzato: «Ciao sono Massimo Numa, vengo da Savona. Cioè, ho lavorato per tanti anni alla redazione di Savona». Il cambio di vita Aveva deciso di cambiare alla fine degli anni’90, perché dopo la storia del serial killer Donato Bilancia, voleva cimentarsi con altre storie di nera. Ma lontano da casa, dalla Liguria dov’era nato e cresciuto e aveva debuttato professionalmente. Voleva fare quello che aveva nel sangue, il cronista di nera. Massimo Numa se n’è andato l’altra notte, all’età di 64 anni, ucciso da complicazioni subentrate in seguito ad un delicato intervento chirurgico. Di cui evitava di parlare perché: «Belin, non mi va di far pietà a nessuno». Il casco della moto pieno di tacche, il telefonino dallo schermo perennemente rotto, il portafoglio dimenticato ovunque, spesso assieme agli occhiali da sole. Scherzava Massimo sulle sue dimenticanze, e un po’ ci giocava a far lo smemorato. A liquidare tutto con una battuta, a prendere la vita con un po’ di leggerezza e il lavoro da cronista maledettamente sul serio. Cronista di nera. «Siamo i panda di un mestiere che cambia» diceva poco prima di andare in pensione. Raccontare il Paese E un po’ gli piaceva far parte di una generazione che ha raccontato la città, ma anche il Paese, attraverso le storie di nera. Non era voyeurismo il suo, ma la consapevolezza che anche il dolore fa parte della vita quotidiana. Era la voglia di giustizia. Mai disgiunta da un’altra voglia: essere il primo a scrivere una storia. E in tutti questi anni a La Stampa, c’è riuscito. A volte anche lanciando il cuore oltre l’ostacolo. A Torino, a Londra per gli attentati, come a Cogne, per il caso che fece discutere tutta Italia, a Genova, in India per i marò, come a Parma, quando per un mese aveva vissuto in un hotel di periferia. Si occupava del caso di Tommy, il bambino rapito e ucciso in modo brutale. Cercare e raccontare. Andare dove gli altri non vanno. Con quell’aria da perenne sperduto, «che piace tanto alle ragazze». E questa frase la ripeteva come un mantra, fino a che una sera in un pronto soccorso conobbe un medico che poi è diventata sua moglie. Le telefonate che iniziavano tutte con «Belin», il suo essere sempre schietto, gli scherzi feroci e la voglia di raccontare: «Ma soltanto quel che vedo con questi occhi e che capisco grazie a questi capelli grigi». La bomba in redazione Poi un giorno ha scoperto di avere dei nemici disposti a tutto. Anche a mandargli un pacco bomba in redazione. «Se fosse scoppiato ti avrebbe ucciso» gli dissero gli artificieri. E Massimo finì sotto scorta. Si scoprì poi che gli era stato spedito da una cellula di anarchici insurrezionalisti. Perché si era occupato degli arresti e delle denunce dopo le vicende Tav in val di Susa. E lo aveva fatto senza sconti. E comunque ha continuato a farlo per anni. Viaggiando sul sedile posteriore di un’auto con due poliziotti per la sua protezione. Non si era arreso all’inattività neanche dopo la pensione. Fedele a se stesso, ma con i capelli ogni anno un po’ più grigi e l’immancabile giubbotto di pelle. La Harley Davidson no, ormai la usava sempre più di rado. Dettagli, perché comunque era sempre lui, costantemente al telefono con un poliziotto, un magistrato, un avvocato. Sempre pronto a scavare e scrivere storie. L’ultimo scoop «Belin, ho uno scoop» diceva qualche mese prima di Natale. Che scoop, Max? Le sue condizioni sono peggiorate poco dopo. Il telefono è diventato muto. Massimo Numa se n’è andato l’altra notte all’ospedale di Ciriè. Senza svelare a nessuno il suo ultimo scoop. E lasciando smarriti noi, che per vent’anni abbiamo corso insieme a lui. — © RIPRODUZIONE RISERVATA