A settembre avrebbe compiuto 84 anni, ma gli ultimi 4 o 5 per lui sono stati pesanti il doppio. Franco Mondini si è spento venerdì 28 giugno alle 8,30 di mattina nella casa di riposo dov’era ricoverato da poco meno di due anni, alternando momenti di tranquillità ad altri di insofferenza verso la libertà perduta. Libertà, la sua parola magica. Ecco, Franco ha sempre messo sopra tutto, e talvolta tutti, la sua voglia di vivere secondo il suo personale schema di vita. Una libertà che aveva assaporato da giovanissimo, quando negli Anni ’50 era entrato nel mondo della musica e poco più che ventenne, in compagnia della sua amatissima batteria, era stato proiettato ai massimi livelli del jazz, da Nunzio Rotondo, che fu il primo ad apprezzarlo, e poi su fino al mitico Chet Baker, passando per René Thomas, Jacques Pelzer, Bobby Jaspar, Gato Barbieri, Franco Ambrosetti e l’amico Enrico Rava. Alla fine degli Anni ’60 la decisione per una vita più “normale” come giornalista prima a Stampa Sera e poi a La Stampa. Una scelta che non ha domato il suo carattere difficile e poco consono alle mezze misure; anzi, ha solo trasferito la sua energia dai piatti della batteria ai tasti della macchina da scrivere, dalle jam session alle recensioni che non facevano sconti a nessuno. Negli ultimi anni gli è mancato tutto questo. Gli è mancato il piacere di suonare in gruppo e gli sono mancati gli amici con i quali fare quattro chiacchere, tirar fuori aneddoti e ricordi. Ne aveva coscienza ma non voleva ammetterlo. Fedele al suo carattere scontroso diceva: io non ho bisogno di nessuno, me la sono sempre cavata da solo e sono in grado di farlo anche adesso. Purtroppo non era così.